

Ritratto di Innocenzo decimo 1650, Roma, Galleria Doria pamphilj.
Velàzquez ritrasse Innocenzo decimo nella primavera del 1650.
In questa opera, sembra che l'artista sia riuscito a mettere insieme Raffaello, Tiziano, e la natura. Vediamo che il Pontefice ha nelle mani una lettera di presentazione che Velàzquez gli ha appena fatto porgere, e, dopo averla scorsa velocemente, lo guarda dritto nelli occhi senza dir niente, ma studiandolo freddamente nell'attesa di farsi dipingere da lui. Noi a distanza di anni osservando
questo dipinto diventiamo spettatori diretti di quel momento fatale di oltre trecentocinquanta anni fa.
Apollo mette a parte vulcano della relazione che la moglie Venere intrattiene con Marte.
Questo quadro stupendo non può essere bizzarramente battezzato ritratto di un cervo: perchè se il cielo sembra uscito dal Bassano più sereno e la pelliccia conosce trapassi di colore luminoso da ricordare Paolo Veronese, l'intensità, l'individualità e, direi, l'umanità dell'animale parlano ancora una nitidezza di sguardo tutta caravaggesca, e tengono assai di più del ritratto che della pittura di genere.
Il dipinto appartiene al genere bodegòn (la versione spagnola di quel filone della pittura europea che, a cavallo tra Cinque e seicento, ritraeva uomini e donne di umile condizione sociale.
Le figure umane hanno in questo dipinto una monumentalità che ben si adatterebbe ai santi di pala d'altare, e il venditore d'cqua porge il bicchiere con la gravità ieratica di un sacerdote che alzi il calice della messa, E' la luce, inequivocabilmente caravaggesca, che cava i corpi nell'oscurità e li scolpisce con nitore oggettivante. Uno dei dati più affascinanti di quest'opera è l'equazione tra gli uomini e gli oggetti, tutti egualmente sottoposti all'incidenza del lume, tutti egualmente protagonisti del dipinto.
Nessun commento:
Posta un commento